FRATE PAOLO E IL SANTO DI MONTEGRANARO

I RICORDI DI UN ALLIEVO DI MUSSINI – LE DISCUSSIONI SU UNO DEI MIGLIORI QUADRI DELL’ARTISTA – LA PROPOSTA DI RICORDARE IL GRANDE PITTORE


Fu, chi scrive, l’ultimo allievo di Fra’ Paolo Mussini, e come tale, avendolo seguito nel suo irrequieto e pur fecondissimo peregrinare sino all’ultimo anno di sua vita, ebbe modo di conoscere dell’artista e dell’uomo le qualità peculiari, che furono e rimangono tante, nei confronti dei pochi difetti che critici superficiali e malaccorti vollero pescare nella sua opera esuberante e multiforme.

Il disegnatore

Le pecche deprecate si riferivano niente meno che alle possibilità disegnative e costruttive, per via di certe deformazioni che, paragonate a certe esibizioni recenti di artisti celebrati, diventavano accademismo il più ligio ed austero. E peraltro ci piace far notare che il Mussini, disegnatore formidabile, di fronte a certi problemi puramente formali, dimenticava tutta la sua sapienza e la sacrificava volentieri a superiori ragioni di equilibrio e di espressione, per cui si notavano sovente nei suoi quadri quelle deformazioni che soltanto al profano e al critico malevolo sembreranno il segno della insufficienza o della trascuraggine.

Così nella scelta dei tipi han voluto riscontrare una infelice disposizione, sino a formulare una sommaria definizione di pittore brutale che così poco s’attaglia al temperamento e alla sensibilità squisita e gentile del Mussini, come poco si addice l’altra accusa alla preparazione e attrezzatura del forte ed efficace disegnatore.

Infatti, osservando dei quattro quadri parietali nella chiesa dei Cappuccini quello che più è stato discusso, vedremo che il concetto informativo di quest’opera lo toglie ad ogni esercitazione dialettica di qualsiasi critico, in quanto la scelta dei tipi, la soluzione del taglio, la disposizione delle figure non potevano essere più felici ed efficaci di quanto siano.

Il quadro va sotto il titolo “Il santo in giardino”; tratta di un episodio quanto altri mai gentile, che pone in contrasto due figure morali e perciò due espressioni fisiche diametralmente opposte. L’una, quella del guardiano, imbevuta di sapienza teologica senza lume di grazia; l’altra, quella del Santo, tutta luce e spirito, tutta purezza ed ardore.

“Il santo in giardino” – Augusto Mussino, Chiesa di San Serafino da Montegranaro, Ascoli Piceno

Dice la storia che, trovandosi un giorno il santo in giardino ed essendo stato sorpreso dal guardiano in muta adorazione dei fiori, fu da questo ripreso aspramente in quanto il gesto puramente sensuale di aspirare il profumo di un fiore non s’accordava con l’austerità della missione terrena del religioso.

“Padre, la bellezza di questa creatura mi solleva alla bellezza di Dio”.

Questa la risposta del Santo. Ed è così che si stabilisce il dissidio profondo tra due nature diversissime, l’una fredda e sapiente, l’altra ignorante ma densa di altissima spiritualità.


I due personaggi

Ed ecco come il pittore spiritualmente allontana i due personaggi e li racconta con una efficacia superba. Il guardiano severo e arido, rigido nel gesto, brutale nel tipo, stringe tra le mani il solo tesoro della sua mente, un libro.

Il Santo, umile e raccolto, annegato in un nimbo di luce, esalante lui stesso i profumi dei fiori che ne isolano il corpo mortale entro un confine di poesia, quasi sembra annullare la sua personalità fisica per ridursi spirito, luce, colore, fiore, creatura di Dio nel creato che lo solleva alla bellezza del Creatore.

Il paesaggio – il giardino di Padre Agostino – è condotto con amore infinito e ritrovi in esso ogni pianta, ogni vaso al suo posto, come lo vedemmo nei radiosi mattini di primavera della nostra giovinezza, ed ogni fiore è una parola di un inno, ogni foglia una pausa di silenzio, ogni stelo un accento con una precisa funzione vitale nel quadro.

E a chi domandi il perché del crudo realismo ostentato dal pittore nella figura del Guardiano, risponderemo che a lui è negata la gioia di capire un linguaggio che, essendo espresso con una potenza lirica veramente squisita, ha sulla poesia il vantaggio della notazione cromatica superlativamente musicale, per cui chi la neghi dimostra sordità e cecità degni di compianto.

Quella di saper vedere e sentire il bello è ricchezza di pochi, ed è ricchezza che non si perde e non si prodiga, la sola che non subisce oscillazioni e deprezzamenti.

A conclusione, se taluni critici non sanno o non vogliono esaltare l’opera di un maestro il cui valore è di molto superiore alla sopravvissuta fama, sappiano almeno le persone di gusto raffinato e sensibile apprezzare le migliori espressioni dell’arte del Mussini, tutte o quasi tutte custodite nella nostra città o in paesi vicinali e per la maggior parte ignorate.

Il Mussini, che tanto amò la nostra città che considerò sua seconda patria, merita da parte nostra assai più che un fugace ricordo e un frettoloso tributo di ammirazione.

E non sarebbe male che, ricorrendo Il centenario del Santo illustrato con raro senso d’amore dal Mussini, si cercasse il modo di tributare al pittore un omaggio doveroso e duraturo.

Quale, non sappiamo, e non possiamo suggerire la forma più adatta. È però un’idea che il comitato per le Onoranze al Santo non dovrebbe scartare.

Aldo Castelli, Ottobre 1940 – pubblicato su pagina locale non nota (Il Messaggero o Il Giornale d’Italia)