ALDO CASTELLI CERAMISTA

Un evento al Polo Sant’Agostino mette in luce il ruolo di Aldo Castelli nel rifiorire della ceramica artististica ascolana intorno agli anni Venti e Trenta

— di Simonetta Castelli —

La locandina dell’evento

La locandina dell’evento

Qualche mese fa, mentre si preparava l’allestimento della mostra “Con la Terra e con il Fuoco” e stava per andare alle stampe il relativo catalogo, mi trovai con Luisa Alleva a consultare materiali scovati tra i preziosissimi documenti della famiglia Matricardi. Oltre a condividere legami familiari, ci accomuna una passione per il brillante patrimonio artistico della maiolica ascolana e la consapevolezza dell’importante ruolo che vi hanno rappresentato la storica Manifattura Matricardi e la SPADA.

Fu in questa occasione che, con la splendida serendipità che spesso accompagna tante delle più eccitanti scoperte, individuammo la prima traccia di una catena di indizi appassionanti relativi alle origini della società artistica denominata “S.P.A.D.A.”, a tutt’oggi ben poco documentate. L’acronimo stesso ha un’origine incerta; non siamo riusciti a trovare informazioni risolutive a riguardo, ma sulla base delle tendenze dell’epoca in analoghe denominazioni di imprese simili, azzarderei che stesse per “Società Per le Arti Decorative Ascolane”.

Finanziata principalmente da Giuseppe Bracciolani (che mise anche a disposizione i locali di una sua proprietà in via del Lago) e da altre audaci e generose personalità ascolane amanti dell’arte, la “S.P.A.D.A.” si rivelò un esperimento effimero e poco felice dal punto di vista imprenditoriale, ma che ci ha lasciato oggetti di rara bellezza, con bizzarre e squisite forme e decorazioni, e ottenuti con tecniche arditissime e senza dubbio d’avanguardia per l’epoca.

Si sa ben poco su come sia nata la SPADA; oltre ai suoi noti fondatori artistici – Aldo Castelli e Umberto Bellotto – e al “mecenate” Bracciolani si sa che vi collaborarono, almeno saltuariamente e nelle sue fasi iniziali, altri artisti emergenti; ma non si era mai trovato, nei vari archivi delle imprese, alcun documento che facesse luce sulla loro identità. Ora, nella mia famiglia si conservava da decenni una lettera scritta a mano, composta di vari fogli e indirizzata a “Caro Bracciolani” in cui era nominato Aldo e venivano dati consigli specifici e ben dettagliati, con tanto di vignette esplicative, su tecniche e materiali da usare per la decorazione della maiolica a gran fuoco. Purtroppo mancava l’ultimo foglio e la firma, e in casa mia ci eravamo lambiccati il cervello per anni a congetturare chi potesse essere l’autore della lettera, che pur sembrava essere una persona attivamente partecipe e profondamente coinvolta nei processi creativi della nascente Manifattura SPADA.

Come accennato sopra, da una prima ipotesi gettata lì in modo casuale si snodò tutta una serie di scoperte – alcune puramente accidentali, altre frutto di una tenace e appassionata ricerca intrapresa con entusiasmo da Luisa e me, con altrettanto tenaci e appassionati contributi a distanza da parte di mia sorella e mio fratello – che ci portarono a confermare che l’autore della lettera era senza ombra di dubbio il ceramista e artista romano Renzo Cellini, con cui Aldo aveva stretto amicizia nei suoi anni di formazione artistica a Roma; e da questa scoperta sono venute fuori altre deduzioni, supportate da solida e lampante evidenza, che ci portano a pensare che gli anni romani siano stati per Aldo determinanti nella sua formazione di ceramista molto più di quanto si fosse pensato finora.

Aldo Castelli in basso a sinistra, con in mano un vaso col noto motivo del fauno;  Renzo Cellini è in piedi al centro, con in mano due vasi di simile fattura

Aldo Castelli in basso a sinistra, con in mano un vaso col noto motivo del fauno;
Renzo Cellini è in piedi al centro, con in mano due vasi di simile fattura

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Devo dar credito al carissimo Stefano De Martis, noto giornalista romano e appassionato cultore di ceramiche artistiche, per avere involontariamente messo in moto questa catena di scoperte. Era stato lui a segnalarmi un errore nella didascalia di una foto, pubblicata qui sul sito, in cui Aldo era ritratto insieme ad altri artisti in occasione forse di una mostra di arte ceramica. In piedi al suo fianco era riconoscibile Renzo Cellini; e chissà mai perché (e qui entra in gioco quella serendipità di cui parlavo) quel pomeriggio a casa di Luisa azzardai che magari potesse essere stato proprio lui – di qualche anno più vecchio di Aldo e con una già consolidata esperienza nel campo della maiolica – a scrivere quella lettera piena di consigli esperti. Gli indizi si moltiplicarono, e come ultima conferma la famiglia di Cellini ci fece avere una foto di una sua lettera autografa, che palesemente era scritta dalla stessa mano!

A Roma, sicuramente Aldo frequentò fornaci e laboratori in cui operavano Duilio Cambellotti e ceramisti della sua scuola; evidenti segni dell’impatto artistico della scuola romana si possono riconoscere nei temi decorativi e nelle scelte cromatiche che caratterizzano molte delle sue creazioni negli anni a venire. Ma alla morte del suo mentore Augusto Mussini, Aldo entra in una profonda crisi e lascia Roma per tornare alla sua città natale Ascoli, portando tutto il suo fresco entusiasmo coltivato negli ambienti d’avanguardia artistica della capitale. La maiolica sembra essere una delle sue prime passioni – con certezza sappiamo che il giovanissimo Aldo, appena ventenne, fu tra i primi tre assunti dalla storica Manifattura Matricardi; e cataloghi e listini dell’epoca testimoniano che le sue creazioni erano molto valutate e apprezzate, benché talvolta etichettate da critici come “troppo moderne”.

È certamente raro che un giovanissimo artista come Aldo godesse già di tale stima e rispetto; e che l’amore per l’arte spingesse l’ingegner Matricardi a includere nei suoi cataloghi pezzi considerati indubbiamente “di rottura” con la tradizione e piuttosto avventurosi per le tendenze di quei tempi. Aldo continuò a lavorare con la Manifattura Matricardi fino alla sua chiusura nel 1930, ma nell’estate del 1924 si avventura nell’esperimento parallelo – effimero eppure memorabile – della società artistica della SPADA, il cui inconfondibile marchio, ben noto a collezionisti e appassionati di arte ceramica, rappresenta una daga stilizzata, ispirandosi all’acronimo.

Vaso ad anfora con i caratteristici motivi a riccioli ispirati dai disegni del ferro battuto

Vaso ad anfora con i caratteristici motivi a riccioli ispirati dai disegni del ferro battuto

Umberto Bellotto era anche lui un artista ardito e innovativo, che già in passato aveva osato accostare elementi e tecniche certo poco usuali: sono notissime le sue creazioni in vetro soffiato e ferro battuto. Non sappiamo come sia nata l’idea della collaborazione tra i due, ma i primi cenni storici dell’esistenza della SPADA sono da trovarsi in cataloghi di Fiere Campionarie dell’epoca e in un paio di trafiletti su quotidiani locali che augurano un felice futuro alla nuova Società e ai suoi sostenitori (Agosto 1924).

Molti dei disegni “strutturali” dei pezzi della SPADA (particolarmente vasi, bottiglie e anfore) sono così bizzarri e arditi da sembrare quasi dei “voli di Icaro” dal punto di vista tecnico e pratico: ed effettivamente, parecchie creazioni non sopravvivevano al gran fuoco proprio per la fragilità che le caratterizzava. Di fatto, oggi i rarissimi pezzi che sono sopravvissuti alle fornaci, alla crisi economica che inevitabilmente sentenziò la fine della SPADA intorno al 1929, a guerre, terremoti, e tutto quello che può avvenire in un centennio, sono avidamente ricercati e apprezzati da collezionisti per la loro squisita unicità, per la qualità straordinaria e il lustro dei loro smalti, e per la fantasia ed eleganza delle loro decorazioni.

L’evento del 12 ottobre integra l’iniziativa della bellissima mostra “Con la Terra e con il Fuoco” che oltre a dare spazio e visibilità a ceramisti ascolani contemporanei ci ha dato modo di godere di una breve ma eccellente carrellata storica sull’evolversi della Ceramica Artistica ascolana nel fecondissimo periodo tra gli anni Venti e Trenta. Gli interventi di Luisa Alleva e di Stefano De Martis sono stati interessantissimi e stimolanti, accompagnati da una presentazione visuale a cui ho collaborato con foto e editing. Raccomando vivamente la lettura del capitolo pertinente “La maiolica in Ascoli Piceno tra il 1921 e il 1977”, scritto da Luisa Alleva, nel ricchissimo e ben approfondito catalogo della mostra; e la recensione del catalogo stesso, “Influenze romane nella ceramica ascolana del ’900” pubblicata da Stefano De Martis su Ceramica e arti decorative del Novecento, n. V di Gennaio 2020.