La bellissima monografia “Aldo Castelli – Una vita per l’arte” è finalmente pubblicata!

Il libro, che ha avuto una gestazione lunghissima e tribolata, ha finalmente visto la luce lo scorso marzo, 2024

Ascoli, Aprile 2024 – di Simonetta Castelli

Venerdì 19 Aprile 2024 alle ore 17:30 presso la Sala della Vittoria nella Pinacoteca civica di Ascoli Piceno ci sarà la presentazione ufficiale del volume.

Come molti sanno, l’idea di questa pubblicazione aveva preso forma nel lontanissimo 1986, più di trent’anni dopo la morte di nostro padre. Varie personalità dell’ambiente culturale ascolano avevano sollecitato nostra madre a chiedere alle autorità locali di promuovere l’iniziativa, per riempire una lacuna nella documentazione storica di un artista tanto unico quanto meritevole.
Si pensò dunque a un libro monografico, e tre Enti locali si dichiararono senza esitazioni disposti a contribuire; ma imprevedibili eventi politici o amministrativi causarono ripetutamente la perdita dei fondi promessi e il conseguente arenarsi del progetto.
Si ripartì nel 2007 con una nuova proposta, e stavolta il libro era diventato quasi realtà: c’era un testo critico scritto dallo stimatissimo Professor Papetti, il quale aveva curato l’intera impostazione del libro, che inizialmente avrebbe dovuto includere anche testi di Luca Luna (sfortunatamente mai completati); c’era una parte biografica firmata da Rosanna Di Marco Liberi, una serie di articoli selezionati da Angelo Speri, uno splendido impaginato realizzato dal Professor Tonino Ticchiarelli, e una ricchissima rassegna di immagini a colori e in bianco e nero.
Purtroppo anche stavolta, nonostante l’opera fosse praticamente pronta ad andare in stampa, una serie di circostanze ne impedì il compimento.

Finalmente all’inizio del 2023 decisi di fare un ultimo, estremo tentativo di resuscitare il progetto. Dopo colloqui preliminari con il Professor Papetti, con il grafico e con la tipografia a cui era stata fatta l’iniziale proposta, decisi di impegnarmi con tutta me stessa nella ricerca di possibili sponsor, lanciando una raccolta fondi a cui la mia famiglia (prossima ed estesa) avrebbe contribuito per più della metà della cifra preventivata. Il Comune di Ascoli Piceno, nella persona del Sindaco Fioravanti, accolse la mia richiesta e si offrì di coprire la maggior parte della cifra mancante; mancava ancora almeno uno sponsor, ma soprattutto mancava una figura chiave: una persona o Ente che si assumesse il ruolo di “capofila” e guidasse la nave in porto, coordinando e curando gli aspetti pratici delle fasi conclusive.
La scelta di coinvolgere la locale e affermata Casa Editrice Líbrati si presentò come ovvia e si rivelò essere davvero il tassello finale del rompicapo.
Per finire, a pochi metri dal traguardo trovammo l’ultimo sponsor nella Fondazione Carisap che, casualmente, fu anche l’ente che per primo aveva promosso (anche se in modo informale) l’iniziativa ai suoi albori, a metà degli anni ’80.

La nostra infinita gratitudine va a tutte le persone coinvolte in questa bellissima opera, che rende tributo ad Aldo Castelli non solo dal cuore della sua città, ma da tutte le parti del mondo.
L’entusiasmo e la generosità con cui così tanti hanno partecipato alla raccolta fondi sono stati per noi fonte di ispirazione e tenacia, e ci hanno toccato il cuore.
Il libro è davvero splendido. Chi volesse ordinarlo può farlo QUI

ALDO CASTELLI CERAMISTA

Un evento al Polo Sant’Agostino mette in luce il ruolo di Aldo Castelli nel rifiorire della ceramica artististica ascolana intorno agli anni Venti e Trenta

— di Simonetta Castelli —

La locandina dell’evento

La locandina dell’evento

Qualche mese fa, mentre si preparava l’allestimento della mostra “Con la Terra e con il Fuoco” e stava per andare alle stampe il relativo catalogo, mi trovai con Luisa Alleva a consultare materiali scovati tra i preziosissimi documenti della famiglia Matricardi. Oltre a condividere legami familiari, ci accomuna una passione per il brillante patrimonio artistico della maiolica ascolana e la consapevolezza dell’importante ruolo che vi hanno rappresentato la storica Manifattura Matricardi e la SPADA.

Fu in questa occasione che, con la splendida serendipità che spesso accompagna tante delle più eccitanti scoperte, individuammo la prima traccia di una catena di indizi appassionanti relativi alle origini della società artistica denominata “S.P.A.D.A.”, a tutt’oggi ben poco documentate. L’acronimo stesso ha un’origine incerta; non siamo riusciti a trovare informazioni risolutive a riguardo, ma sulla base delle tendenze dell’epoca in analoghe denominazioni di imprese simili, azzarderei che stesse per “Società Per le Arti Decorative Ascolane”.

Finanziata principalmente da Giuseppe Bracciolani (che mise anche a disposizione i locali di una sua proprietà in via del Lago) e da altre audaci e generose personalità ascolane amanti dell’arte, la “S.P.A.D.A.” si rivelò un esperimento effimero e poco felice dal punto di vista imprenditoriale, ma che ci ha lasciato oggetti di rara bellezza, con bizzarre e squisite forme e decorazioni, e ottenuti con tecniche arditissime e senza dubbio d’avanguardia per l’epoca.

Si sa ben poco su come sia nata la SPADA; oltre ai suoi noti fondatori artistici – Aldo Castelli e Umberto Bellotto – e al “mecenate” Bracciolani si sa che vi collaborarono, almeno saltuariamente e nelle sue fasi iniziali, altri artisti emergenti; ma non si era mai trovato, nei vari archivi delle imprese, alcun documento che facesse luce sulla loro identità. Ora, nella mia famiglia si conservava da decenni una lettera scritta a mano, composta di vari fogli e indirizzata a “Caro Bracciolani” in cui era nominato Aldo e venivano dati consigli specifici e ben dettagliati, con tanto di vignette esplicative, su tecniche e materiali da usare per la decorazione della maiolica a gran fuoco. Purtroppo mancava l’ultimo foglio e la firma, e in casa mia ci eravamo lambiccati il cervello per anni a congetturare chi potesse essere l’autore della lettera, che pur sembrava essere una persona attivamente partecipe e profondamente coinvolta nei processi creativi della nascente Manifattura SPADA.

Come accennato sopra, da una prima ipotesi gettata lì in modo casuale si snodò tutta una serie di scoperte – alcune puramente accidentali, altre frutto di una tenace e appassionata ricerca intrapresa con entusiasmo da Luisa e me, con altrettanto tenaci e appassionati contributi a distanza da parte di mia sorella e mio fratello – che ci portarono a confermare che l’autore della lettera era senza ombra di dubbio il ceramista e artista romano Renzo Cellini, con cui Aldo aveva stretto amicizia nei suoi anni di formazione artistica a Roma; e da questa scoperta sono venute fuori altre deduzioni, supportate da solida e lampante evidenza, che ci portano a pensare che gli anni romani siano stati per Aldo determinanti nella sua formazione di ceramista molto più di quanto si fosse pensato finora.

Aldo Castelli in basso a sinistra, con in mano un vaso col noto motivo del fauno;  Renzo Cellini è in piedi al centro, con in mano due vasi di simile fattura

Aldo Castelli in basso a sinistra, con in mano un vaso col noto motivo del fauno;
Renzo Cellini è in piedi al centro, con in mano due vasi di simile fattura

Per altre opere di maiolica
di Aldo Castelli, clicca QUI

Devo dar credito al carissimo Stefano De Martis, noto giornalista romano e appassionato cultore di ceramiche artistiche, per avere involontariamente messo in moto questa catena di scoperte. Era stato lui a segnalarmi un errore nella didascalia di una foto, pubblicata qui sul sito, in cui Aldo era ritratto insieme ad altri artisti in occasione forse di una mostra di arte ceramica. In piedi al suo fianco era riconoscibile Renzo Cellini; e chissà mai perché (e qui entra in gioco quella serendipità di cui parlavo) quel pomeriggio a casa di Luisa azzardai che magari potesse essere stato proprio lui – di qualche anno più vecchio di Aldo e con una già consolidata esperienza nel campo della maiolica – a scrivere quella lettera piena di consigli esperti. Gli indizi si moltiplicarono, e come ultima conferma la famiglia di Cellini ci fece avere una foto di una sua lettera autografa, che palesemente era scritta dalla stessa mano!

A Roma, sicuramente Aldo frequentò fornaci e laboratori in cui operavano Duilio Cambellotti e ceramisti della sua scuola; evidenti segni dell’impatto artistico della scuola romana si possono riconoscere nei temi decorativi e nelle scelte cromatiche che caratterizzano molte delle sue creazioni negli anni a venire. Ma alla morte del suo mentore Augusto Mussini, Aldo entra in una profonda crisi e lascia Roma per tornare alla sua città natale Ascoli, portando tutto il suo fresco entusiasmo coltivato negli ambienti d’avanguardia artistica della capitale. La maiolica sembra essere una delle sue prime passioni – con certezza sappiamo che il giovanissimo Aldo, appena ventenne, fu tra i primi tre assunti dalla storica Manifattura Matricardi; e cataloghi e listini dell’epoca testimoniano che le sue creazioni erano molto valutate e apprezzate, benché talvolta etichettate da critici come “troppo moderne”.

È certamente raro che un giovanissimo artista come Aldo godesse già di tale stima e rispetto; e che l’amore per l’arte spingesse l’ingegner Matricardi a includere nei suoi cataloghi pezzi considerati indubbiamente “di rottura” con la tradizione e piuttosto avventurosi per le tendenze di quei tempi. Aldo continuò a lavorare con la Manifattura Matricardi fino alla sua chiusura nel 1930, ma nell’estate del 1924 si avventura nell’esperimento parallelo – effimero eppure memorabile – della società artistica della SPADA, il cui inconfondibile marchio, ben noto a collezionisti e appassionati di arte ceramica, rappresenta una daga stilizzata, ispirandosi all’acronimo.

Vaso ad anfora con i caratteristici motivi a riccioli ispirati dai disegni del ferro battuto

Vaso ad anfora con i caratteristici motivi a riccioli ispirati dai disegni del ferro battuto

Umberto Bellotto era anche lui un artista ardito e innovativo, che già in passato aveva osato accostare elementi e tecniche certo poco usuali: sono notissime le sue creazioni in vetro soffiato e ferro battuto. Non sappiamo come sia nata l’idea della collaborazione tra i due, ma i primi cenni storici dell’esistenza della SPADA sono da trovarsi in cataloghi di Fiere Campionarie dell’epoca e in un paio di trafiletti su quotidiani locali che augurano un felice futuro alla nuova Società e ai suoi sostenitori (Agosto 1924).

Molti dei disegni “strutturali” dei pezzi della SPADA (particolarmente vasi, bottiglie e anfore) sono così bizzarri e arditi da sembrare quasi dei “voli di Icaro” dal punto di vista tecnico e pratico: ed effettivamente, parecchie creazioni non sopravvivevano al gran fuoco proprio per la fragilità che le caratterizzava. Di fatto, oggi i rarissimi pezzi che sono sopravvissuti alle fornaci, alla crisi economica che inevitabilmente sentenziò la fine della SPADA intorno al 1929, a guerre, terremoti, e tutto quello che può avvenire in un centennio, sono avidamente ricercati e apprezzati da collezionisti per la loro squisita unicità, per la qualità straordinaria e il lustro dei loro smalti, e per la fantasia ed eleganza delle loro decorazioni.

L’evento del 12 ottobre integra l’iniziativa della bellissima mostra “Con la Terra e con il Fuoco” che oltre a dare spazio e visibilità a ceramisti ascolani contemporanei ci ha dato modo di godere di una breve ma eccellente carrellata storica sull’evolversi della Ceramica Artistica ascolana nel fecondissimo periodo tra gli anni Venti e Trenta. Gli interventi di Luisa Alleva e di Stefano De Martis sono stati interessantissimi e stimolanti, accompagnati da una presentazione visuale a cui ho collaborato con foto e editing. Raccomando vivamente la lettura del capitolo pertinente “La maiolica in Ascoli Piceno tra il 1921 e il 1977”, scritto da Luisa Alleva, nel ricchissimo e ben approfondito catalogo della mostra; e la recensione del catalogo stesso, “Influenze romane nella ceramica ascolana del ’900” pubblicata da Stefano De Martis su Ceramica e arti decorative del Novecento, n. V di Gennaio 2020.

Un restauro a lungo atteso

Il restauro delle figure decorative sulla facciata dell’ex Cinema Olimpia,
ora riaperto come Bottega del Terzo Settore

Figura di “Fauna”

Figura di “Fauna”

Figura di Fauno

Figura di Fauno

Ascoli, Novembre 2016 – di Simonetta Castelli

Lo scorso Maggio 2016 ebbi occasione di incontrare Monica Vittori mentre completava i restauri delle formelle decorative create e realizzate da mio padre Aldo Castelli per la facciata dell’ex Cinema Olimpia ad Ascoli Piceno. L’intero edificio, dopo decenni di degrado e abbandono, ha finalmente trovato una nuova destinazione ed è stato sottoposto a un complesso intervento di ristrutturazione e ripristino. Ricordo quanto mia madre – scomparsa nel 2008 – si crucciasse per lo stato deplorevole della facciata, e quanto fosse desolata nel vedere delle opere così singolari e belle del suo amato Aldo letteralmente sgretolarsi sotto le intemperie anno dopo anno… ma finalmente un’altra parte della storia architettonica e artistica della nostra città sta per essere restituita agli Ascolani nel suo originale splendore.
L’entusiasmo e il talento di Monica mi hanno ispirato a pubblicare su questo sito un breve articolo sul restauro delle sculture, e le ho chiesto di raccontare la sua esperienza nel partecipare a questo lavoro di ripristino tanto atteso. Qui di seguito riporto l’intervista con Monica Vittori.     

S.C.: Ciao Monica. Grazie per aver accettato il mio invito a parlarci del tuo ruolo in questo progetto. Prima di tutto, dimmi un poco di te e di come sei arrivata a questa tua professione di restauratrice.

M.V.: Sono per così dire una “biologa mancata” – dopo il diploma di Liceo Scientifico, il richiamo dell’arte fu più forte e mi distolse dall’idea di proseguire i miei studi in Biologia. Nel 1986, dopo tre anni di corso di restauro FSE (fondo sociale europeo) ho conseguito il diploma di restauratore di opere d’arte per il settore affreschi, e nel 1987, assieme ai compagni di corso, fondai la COORAL (Cooperativa Restauro Affreschi e Lapidei). 

S.C.: Quale fu il tuo/vostro primo incarico? Quali altri lavori “importanti” ricordi che – oltre ad arricchire il tuo curriculum – ti hanno regalato soddisfazione particolare?   

M.V.: Il primo incarico fu il restauro degli affreschi di S. Maria della Carità (detta “Chiesa della Scopa”).
Tra i restauri più importanti ci sono quelli dei teatri di Ascoli e Fermo, del Duomo di Ascoli, del ciclo dipinto di S. Angelo Magno – sempre ad Ascoli – e di un grande affresco di Antonio da Fabriano a Fabriano, ma in quasi trent’anni la lista è lunghissima…

S.C.: Indubbiamente! E riguardo a questo particolare progetto: quando e come sei stata invitata al restauro delle formelle e sculture sulla facciata dell’ex Cinema Olimpia?

M.V.: Insieme ai miei colleghi della COORAL, fui contattata dall’impresa F.lli Rinaldi con cui avevamo già collaborato in passato.

S.C.: Conoscevi già Aldo Castelli come artista? Che cosa ne sapevi e che ne pensi?

M.V.: Conoscevo Aldo Castelli grazie ad un quadro che era (ed è tuttora) a casa dei miei genitori, un’acquaforte che raffigura un albero in un giardino.

S.C.: La conosco bene. Ne ho una stampa anch’io nel corridoio del mio appartamento. È un’acquaforte del 1961 – quando mio padre era direttore dell’Istituto d’Arte di Ascoli Piceno – da uno schizzo che fece nel giardino dell’Ospedale di Ancona. 

M.V.: A seguito dell’incarico dell’Olimpia mi sono documentata un po’ (anche visitando questo sito, wwww.aldocastelliartista.com) e ho scoperto un artista poliedrico che si è cimentato in vari settori dell’arte, la pittura, la scultura… un virtuoso, insomma!

S.C.: Certamente un artista multiforme! Fu anche ceramista, scrittore, giornalista e poeta. Ma tornando al restauro, dimmi, come si sono svolte le varie fasi? 

M.V.: La progettazione dell’intervento è stata curata dalla mia collega Sonia Stipa.
Dopo un sopralluogo conoscitivo si sono stabilite le operazioni più idonee per il restauro del manufatto in questione, dopodiché il nostro progetto è stato sottoposto alla valutazione della Soprintendenza competente. 
Le opere da restaurare erano in parte fisse (le formelle con i fauni, e i mascheroni) e in parte mobili (le statue di scimmiette e pappagalli posizionate in alto sopra i finestroni). Le statuette sono state portate in laboratorio, dove potevano essere restaurate più agevolmente che sull’impalcatura.

Tre delle figure di scimmiette nel laboratorio di restauro

Tre delle figure di scimmiette nel laboratorio di restauro

Tutte le sculture – sia fisse che mobili – erano state coperte da uno strato di colore biancastro (probabilmente la facciata era stata rimbiancata più volte) che aveva nascosto l’originale colore rosso-arancio a imitazione della terracotta. Questo strato non originale è stato asportato con l’ausilio del bisturi, dopodiché si è proceduto con le stuccature per risarcire le fessurazioni, le scalfitture, le cadute di piccoli pezzi…
Il restauro pittorico ha restituito alle sculture l’aspetto che dovevano avere in origine, rendendole anche più evidenti sulla facciata chiara del fabbricato, dove prima dell’intervento si perdevano un po’, essendo tutto uniformemente chiaro. 
Infine si è applicato un impermeabilizzante per proteggere il più possibile i manufatti dalle intemperie.
Tutte le statue mobili (scimmiette e pappagalli) sono state ancorate saldamente alla parete, cosa che non era stata fatta in passato – il che per fortuna non ha causato problemi (come una caduta accidentale).

S.C.: Interessantissimo! Mi meraviglio che, in decenni di intemperie, scosse telluriche (purtroppo frequenti nella nostra città) e logorio del tempo, non ci siano state – oltre a ulteriori perdite di pezzi – addirittura vittime!!!
Mi accennasti a Maggio che avevate incontrato delle piccole sfide – ricordo che mi parlavi di una scultura mancante? Ci sono state altre difficoltà o ostacoli?

M.V.: L’unica difficoltà da superare è stata appunto la mancanza di una delle figure rappresentanti dei pappagalli, posizionate nella parte alta dell’edificio. 
La ricostruzione mediante l’utilizzo di un calco risultava piuttosto difficoltosa trattandosi di una figura a tuttotondo, ma qui è intervenuta l’abilità del mio collega Paolo Bastiani che ha plasmato un nuovo pappagallo servendosi di uno degli originali come modello. 

Il pappagallo ricostruito

Il pappagallo ricostruito

Il modello originale (a sinistra) e la copia in fase di ricostruzione

Il modello originale (a sinistra) e la copia in fase di ricostruzione

S.C.: Hai altri aneddoti, o storie, o scoperte interessanti che puoi raccontare ai lettori?

M.V.: Trovandosi le sculture all’aperto, pensavamo fossero state realizzate con una malta resistente alle intemperie, un impasto a base di inerti e colle, o di cemento. In fase di pulitura ci siamo invece accorti che tutte le statue erano state realizzate in gesso –materiale sensibile all’umidità – il che spiega i danni prodotti dalla pioggia, che ha intaccato in particolar modo i mascheroni che decorano le entrate.

Uno dei mascheroni prima e dopo il restauro

Uno dei mascheroni prima e dopo il restauro

S.C.: Questa è stata una sorpresa anche per noi eredi Castelli. Avevamo un bozzetto ad acquarello (senza data, ma collocabile intorno ai primi anni ‘20),  e le foto degli originali delle formelle con figure mitologiche di fauni. Queste ultime erano state fotografate appena modellate, con la creta ancora visibilmente cruda, e ci eravamo sempre chiesti come fossero poi state realizzate le formelle nella loro versione finale, installate sulla facciata. Oltretutto non sappiamo quando esattamente queste decorazioni furono aggiunte alla facciata. Il progetto dell’architetto Pilotti per il Cinema Olimpia è del 1914-16, ma la collaborazione di Aldo Castelli con il Pilotti risale ai primi anni del secondo decennio; e basandoci sullo stile dei bozzetti e delle sculture, azzarderei che fossero stati creati tra il 1922 e il 1924 (anche perché nel 1914 nostro padre era appena un adolescente e – benché fosse già allievo del Mussini e avesse dimostrato una eccezionale precocità e talento nella pittura – non si era ancora cimentato nelle arti plastiche o nella ceramica). Speriamo che qualche “topo di archivio” sia in grado di darci delle notizie più accurate.

Bozzetto a matita e acquerello, circa 1920

Bozzetto a matita e acquerello, circa 1920

Modello in creta cruda, circa 1920 – È interessante che tra il bozzetto disegnato e l'esecuzione dell’originale in creta, il fauno col flauto sia diventato una “Fauna”

Modello in creta cruda, circa 1920 – È interessante che tra il bozzetto disegnato e l'esecuzione dell’originale in creta, il fauno col flauto sia diventato una “Fauna”

Modello in creta cruda, circa 1920

Modello in creta cruda, circa 1920

M.V.: Sì, anche noi non siamo stati in grado di trovare notizie precise a riguardo.

S.C.: Ho letto da qualche parte che ci la facciata subì un rifacimento nel 1926, in cui i finestroni tondi vennero murati e al loro posto vennero installate le formelle con i fauni, e questo spiegherebbe le cose. Comunque, quali sono i tuoi prossimi (o attuali) progetti?

M.V.: Prossimamente con i miei colleghi sarò a L’Aquila per il restauro di stucchi e dipinti all’interno di un palazzo del centro storico della città.

S.C.: Monica, grazie tantissimo e auguri per i tuoi prossimi incarichi – è stato un immenso piacere incontrarti e far parte della tua esperienza attraverso il tuo racconto… e grazie anche da parte di tutti gli Ascolani che possono di nuovo godere di queste uniche e belle testimonianze d’arte che rischiavano di andare perse!

IN MEMORIAM

“Un oggetto diventa luogo di memoria quando una collettività lo reinveste del suo affetto e delle sue emozioni”
(Pierre Nora, Lieux de mémoire)

Paesaggio con ulivi (1950) 72ppi.jpg

Il 10 ottobre di cinquant’anni fa moriva nostro padre, l’artista ascolano Aldo Castelli, che appartiene in qualche modo – e riteniamo non indegnamente – alla storia collettiva di una identità territoriale straordinariamente ricca di espressioni artistiche. Nel 1965, a poche settimane dalla morte di nostro padre, fu allestita una bella mostra di alcune sue opere presso la galleria Rosati; l’omaggio alla sua memoria fu impreziosito dalle toccanti testimonianze del pittore Ercolani (Il Messaggero, 31 ottobre 1965) e dell’allora direttore della biblioteca comunale Mimì Vittori. Poi più nulla.

Poiché la tutela e la valorizzazione della memoria condivisa di una comunità richiede la difesa di quelli che Pierre Nora definiva “luoghi di memoria” (un monumento, un oggetto d’arte, un personaggio importante, un cimelio storico, un simbolo, un museo, un archivio, una istituzione, un evento storico…) vorremmo tentare di sottrarre all’oblio l’opera di un artista poliedrico e rigoroso che – pur avendo goduto di una discreta fortuna critica in vita (e non solo a livello locale) – è oggi completamente dimenticato nella sua città. “Un oggetto diventa luogo di memoria quando sfugge all’oblio, per esempio con l’apposizione di una targa commemorativa…” …o con l’inaugurazione di un monumento, o l’intitolazione di un edificio pubblico (opzioni, queste, che richiedono solenni rituali celebrativi e complesse formalità istituzionali e che mal si adatterebbero ad un artista schivo e riservato qual era nostro padre) o più semplicemente con la pubblicazione di una monografia sul personaggio e l’esposizione di opere d’arte offerte in dono alla città.

Purtroppo, nell’immaginario di molti ascolani il nome di Aldo Castelli, artista poliedrico e fecondo, potrebbe oggi essere spiacevolmente associato ad un dipinto sconsideratamente esibito in pompa magna nell’ottobre del 2012 all’interno di una scuola, alla presenza di alcuni notabili locali, con un cerimoniale piuttosto imbarazzante e goffaggini organizzative al limite del ridicolo. I promotori dell’evento offrirono il destro (inconsapevolmente, speriamo) a furiose polemiche e le domande legittime sugli intenti dell’iniziativa (cosa o chi si voleva celebrare, esattamente?) non ebbero risposte sensate e plausibili.

Duce_a_cavallo_cerimonia_72ppi.jpg

Il dipinto, eseguito su commissione alla fine degli anni ’30, poi relegato nel dimenticatoio (fondatamente, crediamo) per l’inevitabile damnatio memoriae seguita all’infausto ventennio fascista, fu riesumato con motivazioni confuse e procedure al limite della legalità. L’iniziativa, invero piuttosto strampalata, suscitò unanime scalpore ed ebbe una vastissima e incresciosa risonanza mediatica: come è facile capire, ci sono “luoghi di memoria” difficilmente praticabili in quanto evocano sofferenze non ancora sopite, lutti e dolori collettivi che non si è avuto ancora il tempo di elaborare.

In quell’occasione, benché non fossimo minimamente coinvolti nella organizzazione dell’evento, fummo costretti a fronteggiare accuse infamanti (e infondate) nei confronti di nostro padre e sconcertanti insinuazioni (perlopiù anonime) nei confronti dell’intera famiglia. “Non senza fatica” (*) siamo riusciti ad elaborare la dolorosa esperienza (anche in assenza delle pur debite scuse) e ad archiviare in qualche modo gli intollerabili sgarbi e la maldestra gestione dell’evento (senza ricorrere ad azioni legali come qualcuno suggeriva).

Nel cinquantenario della morte di nostro padre ci chiediamo se la sua opera possa essere oggi considerata così poco apprezzabile e significativa da non meritare neanche uno spazio, per quanto modesto, nella storia artistico-culturale della città.

Nel 2000, in occasione del centenario della sua nascita, il “Corriere Adriatico” ripubblicò alcuni suoi articoli su Ascoli e l’amministrazione si impegnò a pubblicare una monografia, a cura del direttore dei musei civici prof. Papetti, che sarebbe stata finanziata da Comune, Provincia e Fondazione Cassa di Risparmio, con il contributo dell’Istituto d’Arte che realizzò le riproduzioni fotografiche delle opere (conservate tutt’ora nella cassaforte dell’Istituto). Da subito si incontrarono difficoltà e nel 2001 Il Resto del Carlino pubblicò un articolo in cui nostra madre manifestava la sua profonda delusione per la mancata realizzazione di una monografia a cui si era iniziato a lavorare da oltre un anno, con apporti documentari forniti da familiari ed amici per la stesura dei testi e per l’apparato iconico.

Alla fine, grazie alla tenacia di nostra madre, il progetto è stato realizzato, fino alla definizione dell’impianto grafico, ed è pronto per andare in stampa da circa sette anni, ma sembra che non siano mai stati trovati i fondi necessari a coprire le spese di edizione (e ciò mentre, nello stesso arco di tempo, venivano finanziate tante altre iniziative di vario genere, di cui non discutiamo l’importanza, ma forse con un po’ di buona volontà si sarebbe potuto finanziare anche quella pubblicazione, per un importo non certo insostenibile). Tra l’altro ci risulta che il curatore della veste grafica, che ha praticamente concluso il suo lavoro, non sia stato neanche rimborsato per le spese sostenute di tasca propria per la digitalizzazione delle riproduzioni fotografiche.

Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 nostra madre, già malata, ebbe l’effimera gioia di vedere alcune prove di stampa del testo e delle immagini di copertina della monografia. Sperando in una imminente pubblicazione, mossa da gratitudine, nel febbraio del 2008 donò un autoritratto giovanile di nostro padre (del 1925) alla Pinacoteca comunale; poco prima di morire ricevette una lettera ufficiale dall’allora sindaco Piero Celani che nell’esprimere i suoi ringraziamenti “per il dono fatto alla città” – nonché “il compiacimento espresso anche dal prof. Papetti per la nuova acquisizione” – assicurava che all’ “importante dipinto realizzato da suo marito Aldo Castelli sarà riservata una degna collocazione a fianco delle opere di suo marito già presenti nelle collezioni comunali”. Dopo la morte di nostra madre, nel rispetto delle sue ultime volontà e previ accordi con il prof. Papetti, furono consegnati ad un incaricato del Comune (con regolare verbale di consegna) altri due dipinti ad olio, un “Paesaggio con ulivi” (del 1950) e un autoritratto del 1955, sul cui retro era stato dipinto qualche anno prima il ritratto di una “Bambina col braccio ingessato” (chissà, forse un espediente per risparmiare, utilizzato spesso anche dal maestro Mussini…).

Un bellissimo dipinto a olio (Ritratto di G. Condio, 1944), che era stato donato da nostra madre nel 1993 alla Galleria d’Arte Contemporanea (in sostituzione di una litografia già presente nella collezione comunale) fu esposto per qualche tempo, e poi inspiegabilmente rimosso. 

Qui sotto le foto dei quadri donati alla città dagli eredi Castelli nell’arco di diversi anni, tutti presi in carico con regolari verbali di consegna dal Comune di Ascoli, e di cui solo tre sono riapparsi – dopo quasi vent’anni – per quanto non siano esposti in forma stabile e permanente ma soltanto quando le sale del Museo “Osvaldo Licini” non sono occupate da altri allestimenti di maggiore rilievo e valore. Il Paesaggio con Ulivi non è si più visto in vent’anni, con profonda amarezza dei familiari dell’artista e certamente di molti altri che lo hanno apprezzato in vita e dopo la sua morte.

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Per ormai due decenni non si è riusciti a trovare il tempo per pensare ad una “degna collocazione” dei quadri donati alla città, né a dare alle stampe una monografia già pronta. Qualcuno potrebbe maliziosamente insinuare il sospetto che il mancato rispetto di impegni ufficialmente assunti possa imputarsi a pastoie burocratiche, a inerzia istituzionale, a sciatteria logistica, a insensibilità storica, a colpevole incuria o semplicemente a disinteresse e noncuranza. Oggi, purtroppo, non possiamo che propendere per quest’ultima ipotesi, malgrado i ringraziamenti ufficiali per il “dono alla città” indirizzati nel 2008 a nostra madre morente dall’allora Sindaco P. Celani e il “compiacimento espresso anche dal prof. Papetti per la nuova acquisizione”: purtroppo, i fatti sembrano confermare inequivocabilmente l’idea che questi “doni alla città” non siano poi stati così graditi, e che qualcuno non sappia proprio che farsene…

Se così fosse, all’amministrazione comunale non resterebbe che una opzione, quella di restituire al mittente questi doni (ritenuti forse insignificanti, di scarso pregio e quindi non degni di figurare accanto ad opere di artisti più titolati) evitando l’intollerabile protrarsi di rinvii immotivati e pretestuosi. Ce ne faremo una ragione, e cercheremo altre strade per condividere in qualche modo questo piccolo patrimonio con quegli ascolani che mostrassero interesse per questa singolare figura d’artista.

Per celebrare il cinquantenario della morte di nostro padre, la community Facebook “Ascoli Piceno: la città di travertino” ha riservato ampi spazi a una sorta di “mostra virtuale” dove vennero pubblicate per giorni foto delle sue opere e documenti sulla sua attività. Ringraziamo sentitamente l’animatrice del gruppo FB Piersandra Dragoni, Erminia Tosti Luna che ha inserito un bellissimo articolo sull’attività di ceramista di nostro padre, e tutti quelli che seguono l’evento e che apportano i loro contributi.

Questo sito, che nasce come tributo di affetto dei figli al loro papà (un papà di cui non si può che andar fieri) vuol essere anche un contributo alla messa in opera di un luogo di costruzione della memoria di ALDO CASTELLI, artista ascolano del ’900. 

(*) A proposito di memoria condivisa: a qualcuno questo motto ricorderà forse una delle tante iscrizioni sugli architravi delle porte dei palazzetti ascolani… (cf. in questo sito l’articolo “Saggezza sugli architravi”)

P.S. Dopo quasi quindici anni, il dipinto del paesaggio con ulivi è tornato alla mia famiglia. Ringraziamo di cuore il Sindaco Marco Fioravanti e il Professor Papetti per averci ricongiunti a questa amatissima opera di nostro padre.

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